L’inquietudine non cessa di essere generale, il dubbio e la confusione aumentano piuttosto che diminuire. Gli effetti materiali della catastrofe che noi abbiamo vissuto restano immensi; ma noi ci accorgiamo che gli effetti spirituali sono ancora più terribili e ricchi di implicazioni. Tentiamo di farci strada verso la chiarezza, di capire cosa è distrutto e che cosa è ancora in piedi, ma il senso dell’ordine in noi – l’unico che sarebbe capace di tali giudizi – è danneggiato nel profondo. Nessuno è tanto ricco di spirito, nessuno ha un intelletto tanto acuto da sollevarsi al di sopra di ciò che avvolge tutto e tutti.
I nostri timori, che prendono a tratti l’accento del terrore, trovano costantemente nuovo alimento da ogni parte, le nostre speranze sono incerte e vaghe; la più forte di esse è paradossalmente quella che noi deriviamo proprio dalla grandezza di quel che ci minaccia e dalla vasta possanza degli eventi.
Fra l’epoca della nostra giovinezza e l’oggi sta un abisso, e un abisso i cui bordi non sono neppure stabili, ma si allargano di ora in ora. Il concetto del limite, l’unico sul quale noi siamo capaci di fondarci nelle cose dello spirito, è in procinto di dissolversi come fumo nell’aria; l’incommensurabile, l’indefinita materia senza forma della nostra esperienza del mondo inonda il campo della nostra esistenza. Quel che sta accadendo è terribile e non è quasi più passibile di interpretazione.
Noi viviamo in un momento critico del mondo che non offre quasi spazio alle celebrazioni. Dalle guerre tra i popoli e dai conflitti fra le classi hanno preso origine guerre di religione di un nuovo tipo, guerre spirituali tanto più mortifere quanto più esse vengono condotte nella semioscurità di una reciproca non conoscenza; una setta lotta contro l’altra e nessuno vuole riconoscere in che modo inquietante i pesi terribili della volontà che le masse hanno di affermarsi materialmente e spiritualmente vengano scambiati in silenzio nel volgere di una notte: ora l’economia si traveste da spirito, ora lo spirito da economia.
[Hugo von Hofmannsthal, Retaggio dell’antichità, discorso pronunciato il 5 giugno 1926, in L’Austria e l’Europa, a cura di Giampiero Cavaglià, Marietti 1983]
(Trovo sorprendente, e anche un po’ inquietante, che parole pronunciate ottant’anni fa suonino tanto attuali).